Come nasce un’autoproduzione a fumetti?

Le storie di Ratto Collettivo e Collettivo Leftovers, nati quest’anno tra i banchi della SRF.
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Scuola Romana dei Fumetti / 1 Ottobre 2024

Per capire come funziona un’autoproduzione a fumetti, abbiamo deciso di raccontarvi la storia di due collettivi: Ratto Collettivo e Collettivo Leftovers, entrambi nati tra i banchi fisici o virtuali della Scuola Romana dei Fumetti, nei corsi di Fumetto in sede e Fumetto Online.

Il desiderio di collaborare.

Alla Scuola Romana dei Fumetti si insegnano le tecniche e si tramandano i mestieri del disegno da oltre trent’anni, tuttavia, in aggiunta alla lezione frontale e alle tante attività didattiche, la risorsa più preziosa che può offrire una Scuola è il suo spirito da Agorà e da bottega d’arte.

Questo significa mettere in connessione fra di loro gli studenti, creare le condizioni affinché nascano dei rapporti di amicizia e stima e soprattutto far sì che si crei un clima di aiuto reciproco nel coltivare la propria passione per il fumetto.

Una volta unito, un gruppo affiatato di menti creative è in grado di lanciarsi con più coraggio e più risorse in progetti ambiziosi come un’autoproduzione.

Cos’è un’autoproduzione?

Ratman di Leo Ortolani è sempre stato uno dei più celebri esempi di fumetto sostenuto dalla fede incrollabile del suo autore, disposto ad autoprodurre la stampa a proprie spese prima che fosse notato dall’industria editoriale, prima cioè di diventare il fenomeno cult che tutti conosciamo.

Ora che internet e il print on demand lo consentono, sono in tanti a scegliere la strada dell’indipendenza. Autoprodurre significa quindi realizzare in proprio tutto quello che riguarda sia la parte creativa che quella commerciale di un fumetto o in generale prodotto editoriale, senza il supporto di nessuna casa editrice e di nessun distributore, ma solo animati dalla propria forza di volontà.

Cosa serve per iniziare?

Se al primo anno dei corsi accademici della Scuola si insegnano le competenze fondamentali come l’anatomia, la prospettiva, la regia e la scrittura, al secondo anno si portano queste capacità ad un livello più avanzato, aggiungendo anche lo studio del colore e dell’inchiostrazione.

Al terzo e ultimo anno di corso, invece, è fondamentale arrivare a una sintesi di tutto quanto si è appreso, applicando la metodologia acquisita a qualcosa di concretamente spendibile nel mondo del lavoro, come la realizzazione di un portfolio o di un progetto completo.

Per questo motivo, il terzo anno è quello in cui storicamente prendono vita i collettivi di studenti, perché è il momento in cui la formazione tecnica e culturale è sufficiente per lanciarsi in un’impresa così complessa.

Ecco due storie di autoproduzione, di gruppi di lavoro nati quasi per caso e della voglia di condividere un pezzo di strada, forse anche molto lungo, insieme.

1) La storia di Ratto Collettivo

Ratto Collettivo nasce dalla scintilla innescata a inizio anno dal docente Stefano Santarelli, fondatore della Scuola e autore di sceneggiature per teatro e fumetti. In seguito la Scuola ha fornito ogni tipo di supporto necessario, comprese le aule dove tenere le assemblee dei partecipanti al progetto, ma non ne ha coordinato in alcun modo l’evoluzione. Questo perché l’autoproduzione, come detto, è indipendente e libera per definizione.

Così in nove mesi di lavoro, il collettivo ha dato alla luce l’antologia autoprodotta intitolata “170 pagine di mostri”, presentata al pubblico alla trentatreesima edizione di Romics, presso lo stand della Scuola Romana dei Fumetti.

Abbiamo raccolto la testimonianza di Margherita Ostili, studentessa del terzo anno del corso di Fumetto e membro del collettivo, per entrare nello spirito dell’autoproduzione dalla voce di chi l’ha appena realizzata.

 

Racconta Margherita:

“Dal mio punto di vista è stata un’esperienza veramente bella. 

Ho conosciuto altri studenti con cui mi sono trovato benissimo e ho potuto conoscere in maniera un po’ più diretta tutto quello che è l’organizzazione in gruppo. 

Nonostante tutti quanti siamo alle prime armi, ci siamo impegnati tantissimo per fare un progetto professionale e soprattutto bello.

Quando ce li hanno consegnati ho potuto vedere i volumi della nostra prima autoproduzione, “170 pagine di mostri”, e secondo me sono sono veramente stupendi, non avrei mai potuto sperare in qualcosa di meglio.

Ci siamo suddivisi tutti quanti i compiti, ognuno si è preso quello che ovviamente voleva, come ci avevano consigliato i tipi di Blackboard (collettivo di fumettisti formatosi anch’esso tra i banchi della Scuola qualche anno prima) quando sono venuti a raccontarci la loro esperienza.

C’era chi tra di noi lavorava come art director, chi lavorava come letterista o chi come impaginatore. Io per esempio mi occupo dei social media, quindi del nostro Instagram e Facebook, insieme ad altri membri del collettivo.

Non è stata neanche troppo difficile l’organizzazione, adesso che ci penso, anche se le riunioni che abbiamo fatto sono state veramente tante.

Alla fine ognuno si è ritrovato al suo posto e devo dire che è andato tutto abbastanza bene.

Abbiamo fatto la scelta dei ruoli e ognuno ha preso quello che preferiva e poi abbiamo scelto il nome e il logo. Per chi non poteva partecipare in presenza abbiamo creato una stanza Discord e un canale Google Drive sul quale veniva postato praticamente tutto il materiale e tutto quello che poteva servire per decidere tutti insieme.

A questo punto abbiamo scelto l’argomento dell’autoproduzione e avevamo veramente molte proposte, alcune delle quali sicuramente verranno riutilizzate per futuri progetti.

Poi abbiamo fatto la scelta delle creature da mettere all’interno del volume e come suddividerle in gruppi, dato che abbiamo strutturato il volume in quattro capitoli.

Poi abbiamo dato inizio alle collaborazioni con gli sceneggiatori, uno dei quali è presidente del collettivo.

Successivamente abbiamo iniziato a lavorare sulla revisione dei soggetti e dei testi con gli editor, sia all’interno delle tavole ma anche per quanto riguarda la descrizione delle creature.

Poi abbiamo lavorato alla revisione dei concept e delle creature, delle quali si sono occupati degli art director, così come dei colori con cui abbiamo deciso di suddividere i capitoli.

Ogni capitolo ha la sua palette e questo secondo me lo rende molto bello esteticamente come prodotto.

Poi ci siamo occupati delle illustrazioni, dei layout, degli inchiostri e dei colori, infine abbiamo lavorato al lettering e all’impaginazione.

Arrivati a questa fase, finalmente siamo riusciti a mandare tutto in stampa e ad essere pronti per Romics dopo nove mesi di lavoro.

Ci sentiamo prontissimi, agitati però pronti per cercare di far vedere il nostro volume, un progetto che è rimasto nascosto per ben nove mesi. Siamo molto emozionati all’idea di accogliere gente interessata, far vedere il libro agli insegnanti e magari fare qualche dedica sulle prime pagine. Per il futuro ci stiamo già organizzando per qualche altra fiera, ad esempio abbiamo già preso accordi con il BettyB Festival.

Abbiamo già altri progetti in mente, tra spillati e serie o gadget, perché adesso abbiamo fatto il nostro primo antologico di centosettanta pagine e ora abbiamo bisogno di altri progetti per quando andremo in altre fiere.

A noi piace molto il nostro nome e il nostro concept del Ratto, perché ci sentiamo una colonia che inventa storie”.

Ratto Collettivo ha un profilo Instagram e Facebook, dove racconta tutta la sua produzione.

2) La storia del Collettivo Leftovers

Il Collettivo Leftovers nasce anch’esso dalla scintilla innescata a inizio anno dal docente Stefano Santarelli, stavolta però nell’ambito del terzo anno del corso accademico di Fumetto online.

In nove mesi di lavoro, il collettivo ha dato alla luce l’antologia autoprodotta intitolata “Fiamma”, presentata al pubblico alla trentatreesima edizione di Romics, presso lo stand della Scuola Romana dei Fumetti.

Abbiamo raccolto la testimonianza di Agostino Sotgia, studente del terzo anno del corso di Fumetto Online e membro del collettivo, per entrare nello spirito dell’autoproduzione dalla voce di chi l’ha appena realizzata.

 

Racconta Agostino:

“All’inizio del terzo anno, l’insegnante di sceneggiatura Stefano Santarelli ci dice che è tradizione della SRF che per il terzo anno le studentesse e gli studenti si confrontino con un prodotto editoriale creato dall’inizio alla fine da loro, ossia un fumetto scritto, disegnato, colorato, inchiostrato, impaginato, stampato e distribuito interamente da loro, senza che la Scuola ci mettesse bocca, anche se poi sono stati molti gli insegnanti disponibili a seguirci durante il percorso, ma decidevamo tutto noi. Così è nato il progetto che ci ha portato all’autoproduzione presentata a Romics.

Noi da bravi secchioni ci siamo messi subito a fare i compiti, non sapendo che ci saremmo imbarcati in un’esperienza difficile, ma arrivati ora alla fine, molto importante e coinvolgente.

Qualcuno di noi conosceva il mondo delle autoproduzioni, o perché ci aveva collaborato o perché le aveva sempre comprate, ma molti non sapevano di cosa si trattasse, per cui abbiamo iniziato a parlare tra di noi per provare a metter su questo progetto.

Il primo ostacolo è stato mettere d’accordo trenta persone. 

Abbiamo anche pensato che questo fosse un esperimento antropologico da parte di Stefano! 

Trenta persone ognuna con la propria sensibilità, con il proprio percorso e con la propria voglia di raccontare certi temi e altri no, impegnati fin da subito con la scelta del tema.

Qui è stata necessaria una mediazione per far sì che tutti si sentissero accolti e avessero qualcosa da raccontare. Dopo vari confronti è stato scelto il tema che dà il titolo al volume, ossia Fiamma.

Questo perché ci sembrava un tema che permettesse a tutte e tutti di esprimersi, infatti il volume è un’antologia di vari racconti legati dal tema della fiamma, ma che trattano tematiche diverse. Ci sono storie di fantascienza, storie della contemporaneità, storie fantasy, storie legate al mondo dell’archeologia, della letteratura ecc.

A questo punto è cominciata la lavorazione del volume, caricando le tavole su un Drive condiviso. All’inizio i gruppi erano abbastanza disuniti e molti dei trenta che eravamo si sono tirati fuori e il gruppo si è ristretto. Coloro che di fatto erano rimasti, i cosiddetti Leftovers che danno il nome al collettivo, erano ora costretti a coordinarsi, perché entro l’estate doveva essere tutto pronto per riuscire nell’impresa di arrivare a Romics con un prodotto editoriale completo.

Abbiamo dovuto cominciare ad assemblare quelle che erano dodici storie in un unico volume. La cosa bella è che, volente o no, stando ore a parlare di un progetto poi parli pure nella tua vita e quindi diventi alla fine un amico e entri prepotentemente nella vita quotidiana delle persone, capisci quello che fanno e quello che possono dare, creando di fatto una relazione.

Perciò siamo diventati tutti amici e ci siamo messi a lavorare su questo volume e l’obiettivo è stato quello di dargli una cornice anche grafica che riunisse le storie. Da qui l’idea di trasformare il volume in una grande scatola di fiammiferi. Ogni fiammifero si accende e dà vita ad una delle dodici storie, tutte diverse a livello di stile e tecnica.

La ricchezza di questo collettivo è proprio la diversità, perché veniamo da tante parti diverse d’Europa. Grazie alla possibilità di collegarsi online praticamente sempre, abbiamo fatto un sacco di cose insieme tra cui anche la stampa, collegati in diretta su Discord con uno di noi che mostrava l’impaginato in streaming.

Non avevamo mai fatto neanche semplicemente un preventivo, non sapevamo come fare a mettere le quote e a raccoglierle. Non sapevamo quanto mettere a testa e come poi investire quei soldi nella stampa. Ci sono stati dei ritardi e aumentava il prezzo, quindi non riuscivamo a capire come fare, quale sito e quale tipografia scegliere. 

Insomma è stato un lavorone, però sempre condividendo un qualcosa di positivo, quindi l’esperimento di Stefano è stato un esperimento interessantissimo, che dimostra che tu puoi prendere trenta persone e trasformarle in un collettivo, che al netto delle differenze, delle diverse idee e delle diverse biografie che poi incidono nel modo in cui appunto ci relazioniamo l’un con l’altro, riesce a fare un prodotto bello.

Se all’inizio nessuno metteva bocca sulle storie dell’altro, ora ci diciamo frasi come “ma tu cosa pensi di questa vignetta? Ma secondo te come la posso fare? Sai, non ci siamo mai visti in questi tre anni, però mi piace come fai questa cosa!”

Il risultato è che già vogliamo fare altre cose e abbiamo la voglia di andare a fare le fiere per vederci e stare insieme, dopo tutte queste chiacchierate on-line davanti allo schermo. Ora che il gruppo si riunisce a Roma bisogna proprio che i membri romani facciano mangiare a tutti la migliore carbonara e la migliore cacio e pepe di Roma. Ecco il nostro prossimo obiettivo!”

Collettivo Leftovers ha un profilo Instagram dove racconta tutta la sua produzione.

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